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    Abilismo e disabilità
    • Giusi Pintori
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    Abilismo e disabilità.

    È sicuro che ognuno di noi conosca qualcuno con una disabilità o forse tu stesso sei una persona disabile con una patologia invalidante. Queste disabilità potrebbero non essere fisiche o addirittura visibili: potrebbero essere disabilità dell’apprendimento, dello sviluppo o intellettive, o malattie mentali o croniche, o neurodegenerative, o oncologiche, o cardiache, solo per citarne alcune.

    Ma per quanto sia comune la disabilità, non sono molti coloro che sanno come parlare di disabilità o che sanno interagire con le persone con disabilità.

    Inoltre, moltissimi, non intendono parlare o informarsi su cosa significa essere persone con disabilità. La disabilità per molti è un mistero oscuro. In effetti avere una patologia invalidante è spaventoso e travolgente ma non se ne parla mai abbastanza. E’ un argomento ignorato, evitato, nascosto e talvolta colpevolizzante. Ma non è quello che dovremmo fare quando si tratta di disabilità, perché è solo qualcosa che fa parte di ciò che rende le persone ciò che sono.

    Uniciv intende condivide una comunicazione incentrata su ciò che le persone con una patologia invalidante e con disabilità e persone non disabili, possono insieme, collettivamente, rendere il mondo un luogo più inclusivo.

    Uniciv sente la responsabilità di portare alla luce le sfumature della convivenza con una disabilità, la consapevolezza aumenta solo parlandone, i progressi per rendere la società più sensibile verso le persone con disabilità si fanno parlandone.

    La disabilità è parte delle esperienze di moltissime persone. Non c’è una singola esperienza di cosa significhi essere disabile, e non c’è certamente nulla di intrinsecamente negativo o vergognoso nell’essere disabili o avere una disabilità. Parlare di disabilità è giusto, corretto e utile. Ciò che non è corretto è svalutare qualcuno sulla base della sua disabilità

    “L’abilismo”, ossia, la discriminazione, il pregiudizio o la marginalizzazione nei confronti delle persone disabili esiste in molte forme e luoghi diversi. L’abilismo può essere piccolo come qualcuno che chiede della tua disabilità dicendo: “Cosa c’è che non va in te?”. Oppure può essere immensamente grande e limitante se in un paese e in una società  mancano mezzi pubblici accessibili che consentano a una persona con disabilità di accedere al lavoro, all’istruzione e persino all’assistenza sanitaria.

    Non esiste una categoria disabile.  “Se hai incontrato una persona con disabilità, allora hai incontrato una persona con disabilità”. Ogni individuo con disabilità si manifesta e che ha un impatto unico. La condivisione dell’esperienza, delle criticità e delle opportunità sono utilissime perché informano altre persone, sebbene nessuna esperienza singola rifletta quella dell’intera comunità.

    Il linguaggio è uno dei segnali più importanti che abbiamo per dimostrare di accettare o rifiutare l’identità di una persona.

    Le parole possono essere muri o ponti. Possono creare distanze ma anche aiutare a capire i problemi. Le stesse parole usate in contesti diversi possono essere appropriate, confondere o addirittura offendere, ferire, nullificare, denigrare. Quando si comunica occorre dunque essere consapevoli del significato, del senso delle parole. Non è facile, ma è necessario e contraddistingue il grado di civiltà.

    Le parole possono evocare molto spesso, negli altri, pregiudizi e stereotipi tali da costituire delle vere e proprie ‘barriere’ che, ostacolando gli stessi processi di integrazione, vanificando spesso anche gli effetti degli interventi riabilitativi che, a fatica, vengono realizzati.

    Essere ponte con le persone con disabilità o con patologie invalidanti, non consiste semplicemente nel guardare dal buco della serratura qualcuno o usare la terminologia corretta e poi lavarsene le mani e dire: “Oggi sono stato buono!” Dobbiamo fare i conti con l’unicità delle persone. Ancora oggi, nonostante l’incremento delle pubblicazioni aventi per oggetto la narrazione in medicina, si ricercano i protocolli comuni. Solo alcuni esempi: la direttiva sul lavoro n. 2000/78/CE indica che va perseguito l’obiettivo di ‘combattere la discriminazione basata sull’handicap’ mentre il testo europeo a cui ci si richiama parla di “combating discrimination on the grounds of disability”. Nella versione in lingua inglese di questa e di numerose altre e successive direttive europee non vi è la parola “handicap” mentre in quelle italiane, e a più riprese, si legge ancora e addirittura “persone portatrici di un particolare handicap” come traduzione dell’espressione “people with disabilities”. Espressioni quali “handicap”, “studenti disabili”, “studenti diversamente abili”, compaiono ancor oggi in circolari ministeriali e in numerosi e pubblici documenti amministrativi e, persino, nelle titolazioni di servizi sociosanitari territoriali e di promozione dell’inclusione in numerose università. Oggi abbiamo le linee guida uguali per tutti, dimenticando che “ciascuno di noi è una biografia, una storia. Dal punto di vista biologico, fisiologico, noi non differiamo molto l’uno dall’altro, storicamente, ognuno di noi è invece unico.

    Così come è importante renderci conto che esiste una differenza tra essere poveri, soli e privi di strumenti culturali e avere una disabilità ed essere persone benestanti, colte, con attorno un nucleo familiare amorevole e culturalmente forte attorno ed avere una disabilità.

    Essere con le persone con disabilità o con patologie invalidanti, siano essere riconosciute, o peggio non riconosciute, significa che dobbiamo chiederci: “Chi ho davanti?”

    Aumentare la consapevolezza sulle persone disabili o con patologie invalidanti e sulle opportunità ad esse destinate o da destinare è un processo di apprendimento costante molto impegnativo, per questa ragione Uniciv sta lavorando a una “call to action”, una “chiamata all’azione”, perché “sapere di più significa fare meglio”.

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