La ‘disabilità’ non è circoscritta semplicemente alla presenza di un deficit fisico o psichico ma le persone con disabilità sono quelle che “… presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri”. Così viene chiarito dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (CRPD) (Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, 2009).
Secondo questo approccio, una menomazione non è una condizione sufficiente per la disabilità, in quanto quest’ultima è la conseguenza di una interazione negativa tra la condizione individuale di salute e il contesto in cui si vive la persona. Un’importante implicazione del nuovo paradigma è che viene messa in risalto la dimensione sociale della disabilità che può, quindi, essere considerata una manifestazione, particolarmente grave, dell’incapacità di una società di assicurare (o avvicinare) l’eguaglianza di opportunità alle persone con problemi di salute.
La persona con disabilità è colei che, anche a causa di ciò, soffre di
gravi limitazioni nello svolgimento di una o più funzioni fondamentali, una situazione definita da che Amartya Sen, filosofo e accademico indiano, Premio Nobel per l’economia nel 1998, come un deficit di capacità che limita i “functionings“, ossia i“‘funzionamenti”.
Tutto ciò appare concettualmente chiaro e solido. La sua traduzione in un insieme di condizioni operative e rilevabili statisticamente è, però, tutt’altro che semplice e non esiste ancora un consenso sufficiente per procedere in questa direzione. Le difficoltà sono, evidentemente, molteplici e vanno dagli ambiti nei quali rilevare le limitazioni nei “functionings” che
concorrono a definire lo stato di disabile alla loro eventuale classificazione in base alla diversa gravità alla disponibilità di informazioni adeguate almeno per i”funzionamenti “più rilevanti.
Già nel 2001 la World Health Organization nella International classification of functioning, disability and health (Icf) definì la disabilità come un “umbrella term”, cioè una condizione che abbraccia i molteplici aspetti
legati agli esiti dell’interazione tra menomazioni, limitazioni nelle attività e restrizioni alla partecipazione di un individuo che vive in un ambiente di vita, fisico e culturale, che può agire come facilitatore o barriera al funzionamento della persona.
l rapporto tra disabilità e rispetto dei principi di uguaglianza è sottolineato anche in documenti ministeriali.
Nel nostro Paese le persone che, a causa di problemi di salute, soffrono di gravi limitazioni che impediscono loro di svolgere attività abituali sono circa 3 milioni e 100 mila (il 5,2% della popolazione). Vediamo meglio nel dettaglio quali sono.
Gli anziani sono i più colpiti: quasi 1 milione e mezzo di ultra settantacinquenni (cioè più del 20% della popolazione in quella fascia di età) si trovano in condizione di disabilità e 990.000 di essi sono donne. Ne segue che le persone con limitazioni gravi hanno un’età media molto più elevata di quella del resto della popolazione: 67,5 contro 39,3 anni.
Il 26,9% di esse vive sola, il 26,2% con il coniuge, il 17,3% con il coniuge e i figli, il 7,4% con i figli e senza coniuge, circa il 10% con uno o entrambi i genitori, il restante 12% circa vive in altre tipologie di nucleo familiare.
Le persone con disabilità che vivono con genitori anziani sono particolarmente vulnerabili, poiché rischiano di vivere molti anni da
sole, senza supporto familiare; questo rischio è, peraltro piuttosto diffuso perché un numero elevato di disabili sopravvive a tutti i componenti della famiglia (genitori e fratelli), anche prima di raggiungere i 65 anni.
La stima è stata effettuata sulla base dei dati dell’indagine Istat “Aspetti della vita quotidiana”, calcolato sulle risposte al seguente quesito: “A causa di problemi di salute, in che misura Lei ha delle limitazioni, che durano da almeno sei mesi, nelle attività che le persone abitualmente svolgono? (Limitazioni gravi, Limitazioni non gravi, Nessuna limitazione)”. La stima della prevalenza è nota come Global Activities Limitations Indicator ed è effettuata sulle persone che vivono in famiglia, sono escluse quelle che vivono in strutture residenziali.
La geografia della disabilità.
Vediamo un prospetto delle persone con limitazioni gravi nelle attività abitualmente svolte (valori percentuali) per Regione e sesso ( maschi e femmine).
Piemonte 4,9 – 5,9
Valle d’Aosta 3,4 – 5,3
Liguria 4,5 – 6,3
Lombardia 3,5 – 5,1
Trentino Alto Adige 4,3 – 5,1
Veneto 3,2 – 5,6
Friuli-Venezia Giulia 3,6- 5,3
Emilia-Romagna 4,3- 6,2
Toscana 4,1- 6,1
Umbria 6,9 – 10,5
Marche 4,5- 6,4
Lazio 4,1- 6,2
Abruzzo 4,5 – 6,4
Molise 3,8- 6,4
Campania 4,2 – 5,3
Puglia 4,4 – 6,0
Basilicata 4,5- 7,0
Calabria 5,1 – 6,4
Sicilia 5,3 – 6,6
Sardegna 6,1 – 8,5
Italia 4,3 – 6,0
La “geografia della disabilità” vede al primo posto le Isole, con un’incidenza del 6,3%, contro il 4,8% (il valore più basso) del Nord. Le Regioni nelle quali il fenomeno è più diffuso sono l’Umbria e la Sardegna (rispettivamente, l’8,7% e il 7,3% della popolazione).
Veneto, Lombardia e Valle d’Aosta sono, invece, le Regioni con l’incidenza più bassa: il 4,4% .
Fonte: ISTAT